Teodorico Pedrini C.M. |
I Documenti di Fermo |
Il perchè di un'assenza La sua vita a Fermo e a Roma prima della partenza La controversia dei Riti Cinesi |
Diversi studiosi si sono imbattuti in Pedrini esaminando i fatti accaduti al cattolicesimo in Cina agli inizi del 1700, e questo testimonia ancora la notevole rilevanza del suo ruolo storico, specialmente nel contesto della dibattuta “Controversia dei Riti”, e si sono sviluppate diverse opinioni a riguardo. Ma pochissimi sono quelli che hanno concentrato la loro attenzione sul solo Teodorico Pedrini, come musicista e missionario. Fino ad oggi chi voleva studiare e conoscere la personalità storica di Teodorico Pedrini aveva a disposizione due tipologie di documenti: da un lato le cronache contemporanee o successive, dal Giornale di Matteo Ripa alle diverse edizioni delle Memoires de la Congregation de la Mission, alle Memorie del Cardinale Tournon o quelle del Legato Mezzabarba; dall’altro le sue molte lettere personali o “istituzionali” depositate negli archivi di Roma o di Parigi. Le nostre ricerche hanno permesso di aggiungere a questo conosciuto, benchè da pochi, e ristretto corpus di fonti, anche una serie cospicua di documenti anagrafici originali reperiti negli archivi di Fermo e circondario. Questi documenti, che assommano fino a questo momento a circa 200 unità, sono presenti nell’Archivio Storico Diocesano di Fermo, e negli archivi parrocchiali di Servigliano, Monte San Martino e Penna San Giovanni e, per altro verso, anche nell’Archivio di Stato di Fermo. Essi sono oggetto di illustrazione dettagliata nel numero 44 de "I Quaderni dell’Archivio Storico Diocesano di Fermo" (http://www.teodoricopedrini.it/QASAF.htm). Si tratta di atti di battesimo, di matrimonio, di morte, e Stati delle Anime, che, collegati ed incastonati tra loro, descrivono in maniera abbastanza esaustiva, anche se non ancora completa, la famiglia e la vita fermana di Teodorico Pedrini. Quello che però vogliamo sottolineare sono alcune peculiarità di questa nuova documentazione, quei particolari che fanno di un freddo documento burocratico, una toccante testimonianza di vita vissuta. Come l’atto della Parrocchia di San Michele Arcangelo del 24 luglio 1678, in cui si certifica la morte di Flavia Agnese Pedrini, figlia di Giovanni Francesco e Maria Nicolosa, e sorella di Teodorico, nata soltanto il 10 ottobre 1677. Quella dicitura “aetatis suae decem menses” lascia solo lontanamente immaginare il dramma di quella madre che aveva appena fatto in tempo ad affezionarsi a quella seconda figlia femmina. Oppure la decisione di Maria Nicolosa di avere un’altra figlia, dieci anni dopo la prima Teresa, e di darle lo stesso nome; questa scelta fa già intravedere, pur senza averne ancora le prove documentali, se non la sua assenza nei vari Stati delle Anime familiari, che la prima Teresa fosse morta in giovane età, forse a otto, nove anni. Finchè a confermarlo non arriva lo stesso Teodorico, quando ricorda, in una lettera al cognato Gaetano Buratti dell’8 settembre 1732, questa sua sorella Teresa “morta di poca età” e di cui “in casa era un ritratto con il Crocifisso in mano”. Triste destino il suo, ma comunque più gentile di quello della sorella Agnese, a cui, morta prima di compiere l’anno di età, non fu concesso neanche questo labile beneficio della memoria. Questa chiave di lettura ci permettere di evidenziare una serie di documenti uniti dal filo rosso delle morti premature, che ci dicono che due sorelle di Teodorico, appunto Flavia e Teresa, morirono in tenera età; che ben quattro degli otto figli di Giuseppe Spinucci e Beatrice, figlia di Teresa Pedrini, morirono in tenerà eta, una (1743) fu appena battezzata, per due, Anna (1745) e Tommaso (1746) il battesimo avvenne in fretta perché erano “in pericolo di morte imminente”, come dice l’atto; ed anche il piccolo Teodorico, nato nel 1740, cui fu dato il nome dello zio che viveva ormai da trent’anni nella lontana Cina, morì prima di compiere i quattro anni. E poi il fratello di Giuseppe Spinucci, Carlo, che morì a soli tredici anni. Anche la famosa Contessa Chiara Spinucci, nipote di Teodorico, ebbe due figli morti appena nati ed uno in tenerissima età. Appare quindi abbastanza frequente questo tipo di evento, anche in famiglie benestanti se non pure nobili, nella Fermo del 1700. E dalle lettere di Teodorico traspare anche una notevole dose, probabilmente comune nel sentire di queste famiglie, di fatalismo e di serena accettazione della volontà di Dio, che nei suoi imperscrutabili disegni decide di portar via questi bambini: “…diventato angelo così presto; miglior fortuna hà avuto di noi altri due decrepiti…” dice al fratello nel 1744, parlando del loro nipotino. Anche gli Stati delle Anime parrocchiali sono freddamente esplicativi di questi fatti della vita. E’ triste infatti trovare un documento in cui si certifica la nascita di un nuovo bambino nella famiglia e non trovare poi mai il suo nome nei registri successivi. O magari, come accade per la famiglia del cognato Gaetano Vecchi-Buratti a Penna San Giovanni, vedere i loro nomi con una semplice croce vicino, a significare che non sono diventati adulti. Ma tra questi documenti ce ne sono anche alcuni che descrivono, per fortuna, accadimenti gioiosi, anzi doppiamente gioiosi, se è vero che un fratello ed una sorella di Giovanni Francesco Pedrini, Giovanni Battista e Francesca, si sposarono lo stesso giorno, il 22 agosto 1655 a Servigliano, con una ragazza ed un ragazzo anch’essi fratelli tra di loro, figli della famiglia Vecchiotti: due atti uguali nella stessa pagina di registro dei matrimoni che uniscono inestricabilmente due famiglie e che difficilmente trattengono l’immagine di gioia e confusione che doveva regnare quella mattina a Servigliano (si badi bene, nel paese vecchio che stava su in collina, perché il paese attuale sarà costruito più di un secolo dopo). Come pure vi sono atti in cui si possono leggere delle informazioni che palesano la discreta posizione sociale ed economica della famiglia di Teodorico, se è vero da un lato che sono presenti in diversi Stati delle Anime della famiglia Pedrini anche due servitori in casa, segno di uno status abbastanza alto, e dall’altro che la madre, la signora Nicolosa, viene invitata a fare da madrina a bambini di altre famiglie quasi un anno si e uno no, tra il 1679 e il 1690. Nei documenti reperiti negli archivi del fermani appaiono di quando in quando anche dei nomi che aprono finestre su altri ed indipendenti aspetti o fatti della storia della città. Come quello della madrina di Teodorico, Eufemia Alto Comandi “nunc in Adamis”, dice l’atto di battesimo. Essendo madrina si tratta ovviamente di una amica di famiglia, che quindi nel 1671 era ben inserita negli ambienti della nobiltà o alta borghesia fermana. Perché Eufemia era moglie del Capitano Lorenzo Adami che era cugino del card. Decio Azzolino jr. e soldato al servizio della Regina Cristina di Svezia, sui cui rapporti con la nostra città non è necessario dire ancora. Ma il nome di Eufemia Alto Comandi ci porta alla memoria anche un altro evento della storia di Fermo, quella rivolta del 1648, che vide molti esponenti della nobiltà cittadina sollevarsi contro il Vice Governatore Visconti per quella storia del grano. Uno dei capi della rivolta era il padre di Eufemia, Andrea Altocomandi, che per sfuggire la condanna scappò in Dalmazia, e la loro casa era una di quelle abbattute dalle condanne che seguirono, probabilmente dalle parti dell’attuale Corso Cavour, dove il Largo Case Sfasciate, oggi Largo della Rivolta, continua a ricordarci le vicende di quel luglio 1648. Ed anche la data stessa del battesimo di Teodorico, costituisce un ricordo (non si sa quanto voluto e con quali significati) con quei fatti, se si pensa che fu celebrato proprio il 6 luglio, ventitre anni dopo il giorno della rivolta. Inoltre il nome dell’altro padrino di Teodorico, il Reverendo Michele Caucci, da Sant’Elpidio Morico, ma “Roma detegens”, anche lui residente a Roma come canonico della chiesa di S.Maria in Via Lata, ed anche quella del padrino di sua sorella Teresa, il pittore Giuseppe Ghezzi, figlio e padre di pittori, che viene registrato come “incola Romae”, nell’atto di battesimo del 1689, sono tutti ulteriori segnali dei legami tra la famiglia Pedrini e la capitale, in particolare con la comunità dei marchigiani che ruotava intorno a San Salvatore in Lauro.
|
|
|