Teodorico Pedrini C.M.
Fermo 30.6.1671
Beijing 10.12.1746

Fermo e la famiglia
Il perchè di un'assenza

La sua vita in Cina

La Musica

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Il carattere di Teodorico

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La controversia dei Riti Cinesi

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Credits

 

Teodorico Pedrini nacque nel cuore di Fermo, in una casa vicino alla Chiesa di San Michele Arcangelo e non lontano dal Collegio Sapienza Marziale, oggi scuola Sapienza, il 30 giugno 1671 e fu battezzato a San Michele Arcangelo il 6 luglio. Era di famiglia divenuta borghese e benestante.

Suo padre Giovanni Francesco Pedrini, proveniva da Servigliano, era il quarto dei sette figli di Olimpio Pedrini e di Maria Giaffei. Giovanni Francesco fu per mezzo secolo, dal 1656 al 1707, il più attivo Notaio della città, ed anche, almeno per un periodo, pubblico Archivista. I fascicoli lasciati da lui in Archivio di Stato occupano 101 volumi in uno spazio di più di dieci metri lineari. La sua attività inizia nel 1656, e si sovrappone a quella del Notaio Giovanni Francesco Piccioni, probabilmente suo maestro, la cui prima figlia Maria Nicolosa, di venti anni più giovane, divenne nel 1670 sua moglie.

Teodorico fu il primo dei loro sei figli, contando anche quelli che non sono diventati adulti. La mortalità infantile era un problema, all’epoca, anche per le famiglie dei ricchi.

Giovanni Francesco e Nicolosa ebbero altri cinque figli: dopo Teodorico nacque Cosmo Antonio Eraclito, nel 1673. Anche lui diventò prete ma, per un curioso contrappasso, rimase per tutta la vita a pochi metri da casa, diventando nel 1706 Priore della Collegiata di San Michele Arcangelo, la stessa parrocchia dove tutta la famiglia visse i suoi battesimi, i matrimoni, le morti. Tanto che sua madre Nicolosa, quando morì nel 1737, ben trent’anni dopo il marito, alla bella età di 87 anni, viveva ancora nella casa vicino alla Chiesa di San Michele.

Dopo Eraclito nacque nel 1675 Maria Elisabetta, o Isabella, che rimase in casa fino all’età adulta, quando abbracciò la vita religiosa. Nell’ottobre del 1677 nacque la piccola Flavia Agnese, che però morì già a luglio dell’anno seguente. Quindi nel 1679 nacque una terza figlia femmina, chiamata Maria Chiara Teresa, che morì anch’essa in tenera età, prima dei sette-otto anni.

Dieci anni dopo, nel giugno 1689, quando Giovanni Francesco aveva 59 anni e Nicolosa 39, i coniugi Pedrini ebbero ancora una figlia che chiamarono Teresa, e che ebbe il compito di dare alla famiglia Pedrini le generazioni successive, benchè senza il cognome, che quindi  - almeno per questo ramo della famiglia – finisce con la generazione di Teodorico. Teresa infatti sposò nel 1717 Gaetano Vecchi-Buratti, il caro cognato cui Teodorico scrisse numerose lettere da Pechino, fino a poco tempo prima di morire. Gaetano e Teresa ebbero due figlie, Beatrice (1718) e Maria Elena (1720). Mentre Elena sposò il Marchese Ruffini di Agugliano, vicino Ancona (ancora oggi esiste in paese il Borgo Ruffini), Beatrice divenne invece sposa di un Conte Spinucci, Giuseppe, primo figlio di Giovanni Battista Spinucci, vecchio amico di gioventù di Teodorico, cui ancora nel 1740 e nel 1743, quasi cinquant’anni dopo il loro ultimo incontro, scriveva delle sentite lettere ricordando la loro amicizia, vecchia ormai di settant’anni.

E vale la pena di arrivare alla generazione successiva, la terza dopo Giovanni Francesco Pedrini, per ricordare, almeno due degli otto figli di Beatrice e Giuseppe Spinucci: la famosa contessa Chiara Spinucci (1741), che sposò Franz Xaver von Sachsen, figlio del Re di Polonia, girò le corti d’Europa e morì nel 1792, dopo ritornata a Fermo, ricevendo in dono da suo marito un bellissimo sepolcro neoclassico ancora visibile nella nostra Cattedrale; e Domenico (1739-1823) che divenne Vescovo di Benevento e Cardinale e, quale ultimo discendente di questo ramo familiare, nominò erede Francesco Mancini che, essendo figlio di Teresa Spinucci, nipote del Cardinale, e del conte Girolamo Mancini, assunse da quel momento il doppio cognome Mancini-Spinucci.

Tornando a Teodorico, lo vediamo crescere tra la scuola dei Gesuiti e dei Filippini e la chiesa, e prendere gli ordini minori prima ancora di laurearsi: nel settembre del 1690, già a diciannove anni è chierico. Due anni dopo, il 26 giugno 1692, diventa Dottore in Utroque Iure, cioè sia Diritto Canonico che Civile. E subito, nel novembre successivo, come succede ancora oggi, parte per la città grande, nel suo caso la capitale ovviamente, dove rimane al Collegio Piceno di San Salvatore in Lauro, oggi Pio Sodalizio dei Piceni, per cinque anni accademici, dal 1692 al 1697.

E’ probabile che le conoscenze di famiglia lo abbiamo aiutato ad introdursi negli ambienti romani: sua madrina di battesimo era stata infatti Eufemia Altocomando, figlia di Andrea Altocomando, uno dei capi della rivolta del 1648, e moglie di Lorenzo Adami. E l’altro padrino fu il Rev. Michele Caucci, di Monsampietro Morico, che stava già a Roma all’epoca, come Canonico di Santa Maria in Via Lata, tanto che per rappresentarlo al battesimo aveva delegato don Marino Monti di Monte San Martino.

A Roma il giovane Teodorico, insieme alla sua vocazione, incrementa anche la sua passione per la musica, che aveva coltivato quando studiava dai Padri Filippini a Fermo, sicuramente incontrando e forse seguendo le lezioni di Arcangelo Corelli, molto legato agli ambienti marchigiani della capitale.

Parallelamente alla musica, la vita di Pedrini è scandita dai passaggi della sua vita di sacerdote e missionario. Il 24 febbraio 1698 entra nella Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, fondata a Parigi nel 1625, chiamata anche dei Lazzaristi, due anni dopo prende i voti e poco dopo la Congregazione lo indica tra i possibili missionari per la Cina. Probabilmente in questa indicazione non fu estraneo il fatto che il Card. Carlo Maillard de Tournon, Legato Papale in Cina nel 1702, era procuratore a Roma del Vescovo di Fermo Cardinale Baldassarre Cenci.

Ed infatti, dietro mandato di Papa Clemente XI, marchigiano anche lui, nel Gennaio 1702 parte per la Cina, ma passando dall’altro lato del mondo, non secondo la rotta tradizionale intorno al Capo di Buona Speranza e poi Madagascar, India, la penisola di Malacca e Macao, ma andando in Francia e partendo da lì per l’America del Sud e quindi le Filippine. Si può pensare che prese la rotta “francese” piuttosto che quella “portoghese”, già marcando così metaforicamente il percorso di avvicinamento all’universo cinese da lui scelto, o a lui destinato. Ma in realtà non si tratta tanto di una metafora se si pensa che il transito "portoghese" comportava una preventiva accettazione delle direttive e dell'autorità del Re di Portogallo, il cosiddetto Padroado, che Pedrini, come si vedrà, non aveva alcuna intenzione di seguire.

Il suo viaggio toccò la Terra del Fuoco, dove i passeggeri del “Saint Charles”, così si chiamava il galeone su cui viaggiava, passarono dei momenti piuttosto brutti tra le tempeste; e quindi il Cile e poi il Perù, dove arrivò solo alla fine del 1704 e rimase per più di un anno, ospite prima del Vicerè Conte di Monclova e poi dei Filippini.

Nel 1705 si recò in nave in Guatemala poi via terra fino in Messico; ma era troppo tardi per prendere il “Galeon de Manila” che viaggiava annualmente da Acapulco verso le Filippine; e dal momento che quello del 1706, come riferiscono le cronache, non partì affatto, dovette fermarsi ancora molto tempo, fino al marzo 1707, per effettuare il viaggio che lo portò a Manila, dove giunse solo il 9 agosto.

Nel frattempo il Legato Tournon, alla cui missione era destinato anche Pedrini, era arrivato in Cina già nel 1705 e lo stava cercando in giro per il mondo, rimproverandogli il suo ritardo. Ma non è che Teodorico non ci provasse. Nell’ottobre 1707 tenta di andare anche lui a Macao ma il mare lo rimanda indietro nelle Filippine; effettua un secondo vano tentativo nel 1708, e solo nel novembre 1709 riesce ad imbarcarsi per Macao, e sarà la volta buona.

Ha del favoloso questa partenza: l’agiografia lo descrive mentre si taglia la barba del prete, si traveste da capitano di nave e guida un “petaccio” che stava lì a Marivelles in attesa, e lo conduce con piglio sicuro, ma senza neanche saper bene come si fa, verso le isolette intorno a Macao. La cosa, che avvenne con il tacito consenso del Governatore Spagnolo di Manila, sembrerebbe solo un romanzo d’avventure, se non fosse narrato in seguito, con precisione, stupore ed un sottile rimprovero per la sua temerarietà, nel suo “Giornale”, da Matteo Ripa, suo compagno di viaggio e di missione per quindici anni,

Fortuna o provvidenza che siano, Teodorico arriva a Macao il 5 gennaio del 1710. Finalmente è in terra di Cina, anche se molto portoghese, ma ben otto anni dopo essere partito. In Cina nel frattempo era successo tutto senza di lui, la missione di Tournon era fallita, c'erano stati decreti contrastanti tra l'Imperatore ed il Legato, che era ora ristretto in cattività e sarebbe morto di lì a pochi mesi, ed il suo collega lazzarista Ludovico Antonio Appiani era stato rinchiuso in una galera da cui sarebbe uscito solo nel 1726.

Teodorico, in una sua lettera del 1712, dissimula un comprensibile sospiro di sollievo dietro il ringraziamento alla Divina Provvidenza che, facendolo arrivare in clamoroso ritardo, gli ha risparmiato queste brutte esperienze e lo ha tenuto in vita, affinchè proprio lui raccogliesse quel testimone e continuasse la missione di Cina.

Con la morte di Tournon, cui anch'egli assistette nel giugno 1710, quando aveva 39 anni, più o meno esattamente nel mezzo della sua vita, inizia per Teodorico Pedrini quella che si può chiamare senza dubbio la sua seconda esistenza.

Su designazione dello stesso Tournon, l’Imperatore Kangxi lo chiama a Pechino, non senza fargli prima studiare un po’ di cinese a Canton. A Pechino arriva il 6 febbraio 1711, e lì si stabilisce, concretizzando un doppio primato: è il primo missionario lazzarista, ed il primo sacerdote non gesuita, a stabilirsi nella capitale cinese.

Quando si dice il caso: da quando Padre Matteo Ricci, partendo anche lui dalle Marche, giunse a Pechino nel 1601, nessun altro missionario non gesuita riuscì ad avvicinarsi all’Imperatore. La vita di questi due preti, nati a una quarantina di chilometri di distanza, doveva trovare un destino analogo, e in un certo senso - si vedrà - contrapposto, nello stesso luogo, alla stessa corte, ma ad un secolo e a migliaia di chilometri di distanza, o meglio, a “più di diecimila lì”, come diceva l’Imperatore.

Con quella prima udienza da Kangxi la vita di Teodorico Pedrini diventa inestricabilmente connessa con la storia dei rapporti tra la Chiesa e l’Impero cinese; non è più solo la sua vita privata, ma diventa un esistenza pubblica, pienamente inserita nella storia, che merita un capitolo a parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
   

 

 

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