Teodorico Pedrini C.M. |
La seconda esistenza |
Il perchè di un'assenza La sua vita a Fermo e a Roma prima della partenza La controversia dei Riti Cinesi |
La seconda vita di Teodorico Pedrini inizia quel 6 febbraio 1711 quando entra nella grande sala del trono di Kangxi. L’Imperatore stava seduto su una grande pedana coperta da un tappeto, vicino aveva un tavolino con tutto il necessario per scrivere, e “alla destra e alla sinistra vi stavano quattro gesuiti: cioé li padri Suarez, Stumpf, Parrenin, Giartù, con i piedi giunti e colle braccia pendenti, secondo richiede la modestia e rispetto della Cina”(Matteo Ripa, Giornale 1711-1716, p.2). Già da questo primo approccio con la corte, Teodorico deve aver messo a fuoco il rapporto dei missionari lì presenti con l’Imperatore e forse già immaginato i problemi a cui sarebbe andato incontro di lì a pochi anni. Ma per sua fortuna Pedrini godette subito della stima e dell’interesse di Kangxi che, da principe aperto e colto quale era, volle vicino a sé il valente musicista finalmente giunto a Pechino più di due anni dopo la morte di Tomas Pereira, altro missionario musicista morto nel 1708, e gli affidò l’insegnamento di tre dei suoi numerosi figli e il compito di continuare il Lülüzhengyi, l’opera di Teoria musicale lasciata incompiuta da Tomas Pereira. Se da un lato è indubbio che la sua maestria con la musica gli permise di mantenere la stima di questo e degli altri imperatori con cui ha convissuto, e quindi di cavarsela tutto sommato bene anche in tutte le situazioni più difficili, dall’altro le ferite aperte dal problema dei Riti e dalle esperienze negative del Vescovo Maigrot e della Legazione Tournon si sarebbero ben presto riaperte, e inevitabilmente avrebbero tirato dentro la mischia la sincera ed irruenta persona di Teodorico Pedrini. Nell’ottobre del 1714 infatti, Kangxi chiese proprio a Pedrini, chiese all’ultimo arrivato, nonostante avesse altre decine di missionari intorno a sé, se ci fossero delle nuove decisioni della Santa Sede sulla questione dei Riti Cinesi. E lui, che non aveva intenzione di nascondere alcunchè all’Imperatore, gli disse dei Decreti del 1704, del 1707 e del 1710, che proibivano alcune pratiche ai cristiani (Vd Scheda sulla Controversia dei Riti) ed ottenne da Kangxi una reazione tutt’altro che negativa, vide una certa disponibilità dell’Imperatore a tollerare le scelte dottrinali del Papa. Questa risposta di Kangxi, divenne la sua bandiera, lo scudo con cui difendersi e il bersaglio su cui i suoi detrattori lo avrebbero colpito. Kangxi gli chiese anche di scrivere una lettera al Papa per conto suo ed egli lo fece, ma poi quando gli altri missionari la dovettero sottoscrivere nacquero i problemi ed iniziò la sua sfortuna. Perchè nessuno voleva che Pedrini dicesse al Papa che Kangxi non era poi così contrario ai quei decreti e che anzi, li considerava poco più che un problema interno di poche decine di preti cristiani, una inezia in un paese di 120 milioni di non-cristiani. Questo suo atteggiamento ed i suoi resoconti a Roma furono addirittura identificati come causa o istigazione, se mai si possa parlare di istigazione per una Bolla Papale, della Costituzione Apostolica “Ex Illa Die” con cui il 25 marzo 1715 Papa Clemente XI condannò quasi definitivamente i cosiddetti Riti Cinesi. Le cose si misero nuovamente male per Pedrini nel 1720, quando arrivò la seconda Legazione Papale, quella di Monsignor Mezzabarba, con lo scopo principale di pubblicare la Bolla del 1715. Egli non volle firmare il resoconto ufficiale sui due mesi di trattative (conosciuto come “Il Diario dei mandarini”), come fecero obbligatoriamente tutti gli altri missionari, e per questo fu bastonato e messo in prigione. Di più, Pedrini venne rinchiuso dai Gesuiti - forse con eccessivo zelo - e ripetutamente, nel Febbraio e di nuovo nel Novembre 1721. Il drammatico periodo terminò con la morte dell’Imperatore Kangxi nel dicembre 1722, e con l’ascesa al trono di Yongzheng, che agli inizi del 1723, lo fece subito liberare. La prima preoccupazione di Teodorico Pedrini, non appena riacquistata la libertà, fu quella di comprare una casa e di farne una residenza per i missionari di Propaganda Fide ed una chiesa. Giudicò insufficiente quella scelta da Matteo Ripa e per circa 1.900 taels ne acquistò una più grande, con sessanta stanze, lunga 270 piedi (circa 80 metri), presto denominata Xitang, situata lungo la grande strada di accesso alla città, dalle mura occidentali verso della Città Proibita (Lettera al Prefetto di Propaganda del 25 novembre 1726) Ed in questo luogo aprì la “sua” chiesa, dedicata alla Nostra Signora dei Sette Dolori. Era questo un altro piccolo ma importante primato stabilito da Pedrini, essendo la prima chiesa non gesuitica aperta a Pechino, sin dai tempi di Matteo Ricci, chiamata la “Chiesa dell’Ovest” (le altre essendo denominate Nantang “Chiesa del Sud”, Dongtang “la Chiesa dell’Est” e Beitang “la Chiesa del Nord”). Più tardi ebbe modo di riferire in una sua lettera, con un certo, peraltro comprensibile, compiacimento che tra i cristiani cinesi si diceva “andare alla chiesa di Pedrini” con il significato di ‘rispettare le Costituzioni della Santa Sede’ (lettera a Matteo Ripa del 4 settembre 1744). Purtroppo, all’età di 59 anni, i suoi problemi non erano ancora finiti. Questa volta però non vennero dagli uomini, ma dalla natura. Il 30 settembre 1730 ci fu a Pechino un tremendo terremoto che fece più di centomila vittime, e danneggiò seriamente la chiesa-residenza così faticosamente costruita da Pedrini. La caparbietà del prete fermano trovò il modo di ricostruire la chiesa, ed il fatto che fosse concepita come una chiesa all’interno di una residenza missionaria, fornì all’imperatore Qianlong, il successore di Yongzheng nel 1735, la scusa per non requisirla e eventualmente distruggerla, come fece con tutte le altre chiese cristiane in Cina, e questo perché il nuovo imperatore, il terzo nella vita di Pedrini, era stato molti anni prima suo allievo di musica e conservava ancora un affettuoso ricordo del suo maestro. Ed infatti Qianlong lo richiamò a corte nel 1741, a riparare e riaccordare i vecchi clavicembali, e magari a fare ancora musica per lui. Ma Pedrini era ormai vecchio e stanco. A settant’anni passati, aveva visto passare otto Papi a Roma e tre Imperatori a Pechino, aveva sfidato la sorte e si era fatto molti nemici, ma aveva costruito una chiesa ed aveva anche molti fedeli i Cina ed a Roma - secondo Von Pastor - “godeva di un prestigio incrollabile”. Uno storico come Arnold Rowbotham scrisse di lui: “Sebbene Pedrini sia stato forse dotato di poco tatto, non si può non ammirare il coraggio del prete italiano che, quasi senza alcun supporto dai suoi confratelli, oppose la sua veemenza alle forze combinate dell’Imperatore e della Società [di Gesù]” (Missionary and Mandarin, New York, 1966) Negli ultimi tempi forse percepì i segni della fine di un’epoca, i suoi avversari, come i suoi amici, erano quasi tutti morti, ed anche la Compagnia di Gesù di lì a pochi anni sarebbe stata soppressa; ed allora chissà perché volle distruggere tutti i suoi documenti e tutte le lettere che sicuramente ricevette dall’Italia e in particolare da Fermo. Ed anche la sua chiesa – il “sogno di Pedrini” - fu distrutta nel 1811: quella che si vede oggi sulla Xizhimen è un rifacimento successivo. La sua vita fu straordinariamente ricca e tumultuosa, come quattro o cinque vite normali, buona per romanzi, per i CD e forse per film. Una vita per molti aspetti, ancora da esplorare. |